Il medico che, in una situazione di emergenza, si astiene dal prestare le cure dovute perché il paziente non ha prestato il consenso informato, risponde a titolo di colpa grave per negligenza.
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Caso di studio
A due medici si rimproverava di aver cagionato per colpa la morte del paziente avvenuta in conseguenza di una grave infezione tetanica durante il ricovero in ospedale.
Il primo dei due medici, operatore in pronto soccorso, ometteva di praticare la profilassi antitetanica e antibiotica ritenuta necessaria durante la medicazione e le suture delle ferite del paziente profonde e sporche di terra.
Al secondo medico, invece, si contestava di aver dimesso il paziente pur avendo constatato la mancata esecuzione della profilassi antitetanica.
Cosa dice la Cassazione
La IVa sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 31628/2018, ha confermato il giudizio di responsabilità per entrambi i medici.
In relazione al primo medico, in tema di consenso informato, la cassazione ha ricordato che non integra il reato di lesioni personali né quello di violenza privata la condotta del medico che, in mancanza di consenso informato e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso, sottopone il paziente ad un trattamento terapeutico utile, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle legis artis, conclusosi con esito positivo.
In funzione dell’obbligo di garanzia che grava sul medico di pronto soccorso definito dalle specifiche competenze che sono proprie della medicina di emergenza o urgenza, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche necessarie è una scelta di diligenza e perizia.
Di conseguenza, la mancata prestazione di cure fondamentali per la vita del paziente, indipendentemente dal consenso informato, si configura come negligenza che integra la colpa grave a carico del medico.
Quanto alla condotta del secondo medico, la Suprema Corte ha evidenziato che la colpa nei suoi confronti scaturisce proprio dal mancato intervento per rimediare all’omissione da parte del primo sanitario, essendo in possesso di tutte le informazioni e i dati clinici sulle condizioni del paziente che gli avrebbero consentito di evidenziare l’omessa somministrazione della terapia necessaria. In più, per il medico preposto a dimettere il paziente le dimissioni non hanno un carattere meramente formale perché su di egli grava l’obbligo di esaminare la cartella clinica del paziente, comportamento necessario al fine di impedire il verificarsi dell’evento dannoso.
Conclusioni
In conclusione, di fronte ad una situazione di pericolo per l’integrità fisica del paziente, pur in assenza di un consenso espresso dal paziente il medico titolare di una posizione di garanzia ha l’obbligo di procedere alle cure necessarie predisponendo i presidi e i trattamenti atti a prevenire conseguenze pregiudizievoli o, addirittura, letali.
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