In caso di somministrazione di un farmaco potenzialmente pericoloso, grava sul medico un’adeguata gestione del rischio, anche attraverso la prescrizione di accertamenti clinici prima e durante il trattamento terapeutico.
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Caso di studio
Ad un endocrinologo e diabetologo si rimproverava di aver cagionato la morte della paziente nel corso della dieta dimagrante a cui si era sottoposta.
In particolare, l’endocrinologo prescriveva il farmaco fendimetrazina nonostante il divieto di prescrizione e somministrazione stabilito dal Ministero della Salute e pur conoscendo i rischi che l’uso dello stesso avrebbe potuto determinare. In più, la prescrizione di questo tipo di farmaco ad elevato effetto lassativo e diuretico nella paziente con stato psico-fisico debilitato per la perdita di peso di circa 40 kg, era eseguito senza acquisire le informazioni anamnestiche o senza disporre gli accertamenti clinici strumentali necessari per valutare in corso di terapia i rischi di insorgenza di eventuali complicanze.
L’assunzione di detti farmaci determinava nella paziente uno scompenso del miocardio ed uno squilibrio idroelettrico che ne cagionava la morte.
Cosa dice la Cassazione
La IVa sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 8086/2019, ha confermato il giudizio di responsabilità del diabetologo.
Per quanto attiene il nesso causale tra il decesso del paziente e l’assunzione di fendimetrazina e degli altri farmaci prescritti, la cassazione, ha deciso che sul medico, portatore di una posizione di garanzia rispetto al paziente che a lui si affida, grava un obbligo di adeguata gestione del rischio, disatteso nel caso di specie, non avendo rispettato la durata massima di tre mesi prevista dal previgente decreto ministeriale, né avendo prescritto accertamenti clinici prima e durante il trattamento.
In tema di nesso causale, inoltre, si chiariva che è del tutto irrilevante la circostanza relativa all’assenza nella letteratura scientifica di una casistica significativa di decessi attribuiti all’assunzione della fendimetrazina, atteso che la mancanza di detta casistica non è escluso che la stessa, rientrante nella categoria dei farmaci simpaticomimetici, non sia una sostanza potenzialmente letale ovvero che, nel caso concreto, non abbia determinato la crisi aritmica che ha condotto al decesso della paziente, con la dovuta conseguenza, sotto il profilo del giudizio controfattuale, che l’evento risultava evitabile ove la paziente non avesse assunto le sostanze prescritte dal diabetologo nelle forme e nella cronologia registrate.
Quanto alla colpa dell’imputato, la si ritiene integrata dalla prescrizione di fendimetrazina nonostante il divieto ministeriale, dalla durata del trattamento farmacologico, superiore al periodo indicato di tre mesi, dalla conoscenza dei rischi che lo stesso poteva comportare e per aver somministrato alla paziente anche altre sostanze farmacologicamente, dalla mancata verifica dello stato psico-fisico della paziente, dalla mancata predisposizione di accertamenti clinici strumentali per valutare l’opportunità del trattamento farmacologico prescritto.
Conclusioni
Non c’è dubbio in ordine alla condotta colposa di un imputato che prescrive farmaci vietati conoscendo i rischi che poteva comportare sul paziente, nonché rinunciando ad esercitare tutte le cautele necessarie che il ruolo di garanzia gli imponeva.
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